I ragazzi del collegio

Insomma,
a 13 anni leggo "Piccoli Uomini". Qualcuno ricorderà che narra di Jo March, scrittrice di "Piccole donne" che, dopo la tragica morte della piccola Beth e il matrimonio della sorellina Amy col ricco amico Laurie, si sposa e apre una sorta di casa famiglia per ragazzi di ogni tipo.
Lì per la prima volta è avvenuta la magia: leggevo e intanto pensavo a come sarebbe stato riscrivere la stessa storia a modo mio. I protagonisti facevano cose e nella mia testa le stavo riscrivendo, ambientandola ai giorni nostri con personaggi diversi. È stato in quel momento che ho capito cos'avrei fatto da grande: la quarantenne che vive con due gatte in un bilocale. E che scrive.
Il giorno dopo, tornata da scuola, mi sono.messa a scrivere la storia che avevo in mente. Ovviamente era illeggibile. Una bieca scopiazzatura del romanzo originario, tanto patetico che non lo feci leggere a nessuno, eccetto mia nonna. Nonna Lidia non si limitò a leggerlo: lo copiò al computer (mia nonna aveva un pc e io no) risultando la mia prima editor; inoltre gli diede un titolo perché io non l'avevo fatto: "I ragazzi del collegio". La cosa più disturbante era che la storia non terminava. Ricordo dettagli precisissimi della mia prima storia e non l'ho mai fatta finire. Semplicemente, a un certo punto si interrompeva quasi senza motivo... ripensandoci, il mio problema principale era proprio quello. Ma ve ne parlerò un'altra volta. La prossima.

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